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Viaggiare per il mondo e crescere figli con quattro lingue: vi presento Claudia.

Ecco la storia e i preziosi consigli della fondatrice di Expatclic, espatriata multilingue e coach interculturale, che ci spiega perché i bambini multilingui hanno una marcia in più.

Buongiorno Claudia! Grazie per aver accettato di sottoporti a questa intervista suIntervista bilinguismo Claudial multilinguismo! Raccontami un po’ di te e della tua storia.

Sono Claudia, italiana nata a Milano da una famiglia monolingue, in cui si parlava sempre esclusivamente in italiano, al massimo in milanese. Ho sempre avuto una grande passione per le lingue, mio papà ne parlava tante, anche se con un forte accento italiano, si lanciava sempre e io lo osservavo affascinata, così ho deciso di studiare le lingue per lavorarci. Ho frequentato un istituto per il turismo, in cui ho studiato inglese, francese e tedesco e, in seguito, la scuola per interpreti e traduttori a Milano, dove ho approfondito l’inglese e il tedesco. Sono rimasta in Italia fino ai miei 27 anni, dopodiché ho cominciato a viaggiare per il mondo per seguire l’uomo di cui mi ero innamorata, che lavorava per la croce rossa internazionale. Siamo partiti per l’Africa, poi abbiamo vissuto dieci anni in America latina, quindi ci siamo trasferiti a Gerusalemme e infine ci siamo spostati in Indonesia, dove viviamo ormai da tre anni. Nell’arco di 27 anni, abbiamo avuto due figli, abbiamo fatto molte esperienze, ho smesso e ripreso a lavorare più volte seguendo sempre il mio filo conduttore: il desiderio di conoscere nuove culture e di creare delle reti sociali, sia locali che globali. La mia vita si è sviluppata attorno a tutto questo, e soprattutto attorno alle lingue che mi hanno permesso di scoprire nuove culture e conoscere moltissime persone. Oggi gestisco un sito, Expatclic, che fornisce un appoggio alle donne espatriate con le loro famiglie e attorno al quale ruotano molti altri progetti.

Cosa significa per te essere multilingue? Ti consideri multilingue?

Sì, anche se in realtà non c’è un’altra lingua che parlo bene come l’italiano, o per lo meno non c’è una lingua in cui mi sento così sicura nell’esprimermi, come in italiano. In ogni caso, sento di aver proprio vissuto anche le altre lingue, nel senso che ho interagito con le persone, ho scritto, parlato, aiutato, fatto ridere la gente, ho usato queste lingue in maniera molto attiva e quindi sono parte della mia vita. Mi considero multilingue perché riesco ad esprimermi e ad interagire in maniera soddisfacente anche in lingue diverse dalla mia lingua materna. Ovviamente, come per tutte le persone multilingue, ci sono fasi in cui mi sento più fluente in una lingua piuttosto che in un’altra. Per esempio, quando vivevo in Perù parlavo lo spagnolo molto fluentemente, ora un po’ meno perché lo uso raramente; mentre l’inglese, che avevo un po’ perso in America Latina, si è rinvigorito dopo aver vissuto a Gerusalemme e ora qui in Indonesia perché è la lingua che uso quotidianamente. Quindi ci sono alti e bassi ma in tutte queste lingue riesco ad esprimermi abbastanza bene e riesco a lavorarci.

Ci racconti una tua giornata tipo dal punto di vista dell’uso delle lingue?

Parlo tante lingue durante la mia giornata grazie soprattutto a Expatclic perché ho contatti con colleghe e con persone di varie lingue. Difficilmente passa un giorno senza che io parli un po’ di inglese, francese e spagnolo. Mio marito è italiano e quindi tra di noi parliamo quasi sempre italiano anche se, come immagino per tutte le coppie in espatrio, il nostro linguaggio è formato da tutta una serie di parole che attingono alle varie lingue che abbiamo incontrato durante la nostra vita. Tento di balbettare un po’ in bahasa, la lingua indonesiana, che ho studiato per tre mesi e che ho poi abbandonato. Cerco di coltivarla ma comunico solo ad un livello basico per non morire di fame e per le faccende quotidiane. Non c’è mai una giornata in cui parlo una sola lingua.

Hai mai incontrato delle difficoltà nel vivere questa tua vita multilingue?

Io credo di essere abbastanza fortunata e credo di avere un talento per le lingue, che forse ho ereditato da mio padre, e quindi non ho mai patito né durante l’apprendimento delle lingue, né nel loro uso. Non ho mai realmente sofferto perché non riuscivo ad usarle in maniera propria, certo, a volte ci si può sentire un po’ limitati, però non è mai stato un grande problema. Ho avuto invece grosse difficoltà quando ho cominciato a studiare arabo e bahasa, che fatico ad apprendere perché sono lingue radicalmente diverse dalle mie lingue latine e quindi sono più difficilmente penetrabili. Vivere in un contesto in cui non riesco a penetrare la lingua perché non la parlo è molto difficile e frustrante per me, perché è come vivere un po’ a metà, ci si perde una grande parte delle espressioni culturali del paese e ci si esprime in maniera molto parziale. Questo è l’unico aspetto negativo, non ne vedo altri, fino a quando uno ha la fortuna e la costanza di riuscire a penetrare la lingua in maniera soddisfacente. Questo significa anche avere accesso alla letteratura, alla musica, ai testi delle canzoni, ai giornali, alle notizie e a tutta una serie di cose che facilitano e ampliano la conoscenza di quella cultura. 

Quale consiglio daresti ad una persona che vive in questa situazione? In cui a causa della difficoltà della lingua, non riesce a penetrarne la cultura? Come possiamo prendere il meglio da questa esperienza, dobbiamo accettare di vivere a metà?

Bella domanda! Insistere sarebbe la strategia più appropriata, però dipende dalla persona e dalla situazione. Il mio consiglio è questo: se si arriva in un paese la cui lingua è molto ostica rispetto alla propria lingua madre, però si ha davanti un periodo sufficientemente lungo per impararla decentemente, allora l’ideale sarebbe immergersi da subito nella lingua, investire del tempo e fare degli sforzi. Anche se magari non si arriverà mai a dominare la lingua perfettamente, qualsiasi tentativo di impararla è meglio di una mancata penetrazione. Se io potessi tornare indietro, mi lancerei subito a studiare bahasa, invece ho aspettato qualche mese e poi ho abbandonato, ora me ne pento perché, accorciandosi il tempo che passeremo in Indonesia, sto anche perdendo la motivazione. Quindi potendo, cercherei di fare tutto il possibile per imparare la lingua al meglio. Se non si ha questo tempo, allora credo si dovrebbe accettare la situazione e cercare altri aspetti della vita in espatrio che sono comunque godibili al di fuori della comunicazione linguistica.

Con quali lingue sono cresciuti i tuoi figli?

I miei sono figli di una coppia monolingue e monoculturale per cui noi abbiamo parlato con loro sempre in italiano. Il primo contatto che hanno avuto con una lingua straniera è stato attraverso l’asilo e la scuola francese. Abbiamo scelto di scolarizzarli nel sistema francese per due motivi principali: prima di tutto la scuola francese ha una rete molto vasta, che si trova facilmente in tutto il mondo e dipende dal ministero dell’educazione francese, quindi i programmi e i materiali scolastici sono sempre gli stessi e la transizione da un paese all’altro risulta più facile. In secondo luogo, questo era il sistema scolastico che sentivamo più vicino al nostro sistema italiano come impostazione, lingua, programmi e storia. Quindi i ragazzi hanno sempre avuto il francese di base, coniugato poi con le lingue dei paesi in cui di volta in volta ci trovavamo a vivere. Per esempio, in Honduras la scuola era francese ma facevano parte del programma in spagnolo, poiché era la lingua locale. Per cui sono cresciuti con queste tre lingue, italiano, francese e spagnolo. L’inglese l’hanno imparato sui banchi di scuola senza mai avere un’esposizione viva alla lingua, ma l’hanno sempre usato nei videogiochi oppure lo sentivano alla tv nelle serie non tradotte, per cui hanno sempre mantenuto un buon livello. In età adulta hanno avuto la possibilità di approfondirlo studiando in Inghilterra. Oggi parlano quattro lingue correntemente.

 

Ma allora come hanno imparato a scrivere in italiano?

Sono due persone diverse e hanno esperienze molto diverse tra loro. Con il primo son riuscita a fare cose che con il secondo erano impossibili, sono stata molto severa e sono riuscita ad imporgli delle attività che il secondo ha sempre puntualmente rifiutato. Il mio primo figlio ha frequentato i primi due anni di scuola elementare in Italia nella scuola francese di Milano, in cui parte del programma veniva insegnato in italiano, quei due anni di base lo hanno avvantaggiato tantissimo. Io ho poi rinforzato questa base in Honduras portandomi dei libri di italiano e obbligandolo a fare esercizi con me ogni giorno. Ricordo che gli mettevo il quaderno degli esercizi nella cartella e gli dicevo: “Quando hai un attimo di pausa fai questi esercizi per oggi, li voglio vedere quando ti vengo a prendere a scuola!” E lui li faceva sempre molto diligentemente. Il suo italiano scritto è stato sempre eccellente, tranne qualche piccolo errorino che credo facciano anche i ragazzi in Italia. Il mio secondo figlio, invece, non ha mai fatto scuole in Italia, per questo non ha mai appreso l’italiano scolasticamente. Con lui ho tentato di farlo scrivere e leggere in italiano verso i sette anni, ma si è sempre categoricamente rifiutato e quindi ad un certo punto ho rinunciato perché era una lotta sfibrante per entrambi. Il suo italiano scritto era catastrofico, era praticamente spagnolo. Ad un certo punto della nostra vita abbiamo avuto una pausa tra il periodo in Perù e quello a Gerusalemme e quindi ci siamo dovuti spostare per un po’ di tempo in Italia, a Milano. Lui ha frequentato la scuola francese di Milano e quindi aveva parte del programma in italiano. È stato in quel momento che ha dovuto imparare a scrivere correttamente in italiano, nel giro di soli due mesi, se voleva passare il trimestre. Ed era la terza media per lui, quindi con un programma abbastanza nutrito, perché gli studenti venivano incoraggiati a fare l’esame di terza media non solo in francese ma anche in italiano. Quindi mi ricordo questi due mesi terrificanti in cui ha dovuto lavorare come un pazzo per liberarsi di tutti gli spagnolismi e i francesismi nel suo italiano scritto, ha dovuto imparare a fare delle ricerche e a sostenere un’interrogazione, cosa che non era prevista nel sistema francese. Ma questi due mesi gli sono serviti tantissimo e devo dire che oggi anche lui scrive molto bene, anche se fa qualche errorino in più rispetto al fratello. Non siamo ricorsi ad insegnanti esterni, ho preferito fare tutto io, l’italiano parlato era già ottimo perché abbiamo sempre parlato tantissimo. Quindi per lui si trattava proprio di imparare la scrittura, e due mesi sono stati sufficienti, a mio parere, perché aveva già interiorizzato delle strategie che derivavano dall’acquisizione delle altre lingue. Per lui, comunque, è stata una tortura imparare l’italiano perché sapevamo che eravamo in Italia solo di passaggio. Ora che sono lontani ci scriviamo molto, usiamo l’italiano per chattare e mi rendo conto che il suo italiano è veramente ottimo. Secondo me, li ha aiutati tantissimo non solo il fatto che abbiamo sempre parlato molto in italiano a casa, ma anche il fatto che abbiamo sempre letto molto, ho sempre letto loro a voce alta. Io credo che i nostri figli che crescono multilingui, anche se non sono abituati a studiare formalmente e a scrivere in italiano, dovendo farlo hanno delle chiavi in più rispetto ai ragazzi monolingui, il che li aiuta a recuperare il tempo perduto e a rimettersi al passo in maniera molto agevole.

Ripensandoci, quali erano le tue preoccupazioni maggiori, se ne avevi?

La mia paura era quella che i miei figli non avrebbero imparato l’italiano come lo avevo fatto io e che non avrebbero avuto un italiano “globale” a livello scritto, letto, che potevano ad esempio usare nell’ambiente di lavoro. Una mia preoccupazione era che se uno dei miei figli avesse deciso di andare in Italia per lavoro e gli avessero fatto scrivere una relazione, magari ci avrebbe piazzato dentro tutta una serie di errori che lo avrebbero reso lo zimbello dell’ufficio. Inizialmente, mi preoccupava anche il discorso della cultura perché non crescevano in un contesto con contatti quotidiani con canali di informazione che potevano renderli ferrati sulla storia e sulla geografia italiana. Ancora oggi non sanno cosa sia un capoluogo, non sanno quante sono le regioni italiane e hanno conosciuto Garibaldi molto avanti negli anni, ma sinceramente sono cose che non mi preoccupano più.

Quali consigli per le giovani coppie italiane che vivono all’estero con i figli?

  • Consiglio caldamente di non preoccuparsi rispetto all’apprendimento della lingua e della cultura italiana perché questi bambini, crescendo in ambienti bilingui, metteranno in atto diverse strategie per imparare le lingue e avranno una marcia in più per quanto riguarda l’acquisizione di nozioni culturali. Secondo me, apprendono in maniera molto più spontanea e naturale rispetto a persone che sono abituate a ragionare “monoculturalmente”. Per quanto riguarda la lingua, ritengo che abbiano la possibilità di affinarla con molta facilità anche nello scritto se conoscono già altre lingue. Spesso ci facciamo “mangiare” da questa preoccupazione, ma in realtà non ha ragione di essere, semmai dovremmo preoccuparci per altre cose: nonostante si dica che per i bambini sia più facile imparare una lingua, c’è sempre una dose di dolore e difficoltà nel bambino prima di arrivare a potersi esprimere. Quando deve esprimere delle cose che a noi sembrano semplici, in realtà per lui proprio quelle sono le cose importanti e fondamentali della sua vita in quel preciso momento. Un bimbo di 4 anni che si trova immerso in un contesto in cui non capisce niente e non sa come dire “ho bisogno di questo” o “mi fa paura quell’altro” passa per un trauma molto forte. Quindi il mio secondo consiglio è il seguente.
  • Essere coscienti del fatto che certamente ce la faranno, ma sarà molto più semplice per loro se avranno il nostro appoggio incondizionato. Ciò significa che dobbiamo rassicurarli costantemente, mai ridere di loro se sbagliano, fargli capire che è una fase di passaggio e che anche loro arriveranno a parlare bene quella lingua e infine cercare di vivere l’avventura insieme. Se per esempio nessuno della famiglia parla la lingua del paese in cui ci si trasferisce, come è stato per noi lo spagnolo quando ci siamo trasferiti in America Latina, consiglio di cercare di fare il possibile per vivere insieme la sfida di apprendere una nuova lingua.
  • Parlate tanto ai vostri figli, a costo di creare crisi di rigetto! Ritengo fondamentale condividere fatti ed emozioni, aprirsi, raccontare esperienze e aneddoti della giornata, chiedere loro com’è andata la giornata, metterli in condizione di parlare, cercare momenti di dialogo, anche il televisore va bene, ma è il parlato che serve! Il parlato della madre è un’altra cosa! E poi insegnare a leggere, trasmettere l’amore per la lettura, perché un bambino che sa già leggere in italiano avrà già sfondato molte porte quando si troverà a dover scrivere in italiano. Regalare loro libri, portarli nelle librerie e tenere questo canale vivo e aperto: questo è molto importante!

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Karin Martin

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Ciao sono Karin, una linguista plurilingue! In questo blog si parla di vivere la vita con più di una lingua. Condivido le mie piccole grandi scoperte personali e professionali per rendere questo mondo un posto migliore. Spero tu possa trovare l’ispirazione che cerchi!

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